Zanotto Col Fondo

Vino bianco frizzante
Non filtrato – Col fondo

11% vol – 750 ml

Vino frizzante ottenuto da uve Glera provenienti da vigneti collinari situati a 370 metri di altitudine. Viene prodotto con il metodo della rifermentazione in bottiglia (“Col Fondo” – sui lieviti), una pratica ancestrale che conferisce un carattere unico e autentico. Questo vino non filtrato viene sottoposto a rifermentazione in bottiglia durante la primavera, nel periodo pasquale, seguendo il ciclo della luna crescente per favorire la sua naturale vivacità. Dopo l’imbottigliamento, è pronto per essere apprezzato dopo un periodo di 60-90 giorni.

Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli. L’aroma si apre a sentori di crosta di pane e un leggero profumo di mela con note agrumate.
Al palato è un vino asciutto, complesso e piacevole dai profumi eleganti dei lieviti e tipici della frutta. Leggermente salato e molto minerale nel finale.
Da bersi limpido lasciando depositare il “fondo” oppure torbido scuotendo delicatamente la bottiglia per un gusto più deciso.

Temperatura di servizio: 8° – 10° C

I Non Filtrati di Riccardo Zanotto

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L’Arte di Bere il “Col Fondo”: Tre Atti di una Tradizione Frizzante

C’era un tempo in cui il “col fondo” non era un capriccio alla moda, ma un gesto semplice, quasi scontato, come spezzare il pane. Nelle vecchie osterie era uno dei due vini serviti: tranquillo o frizzante col fondo, entrambi figli della terra e del lavoro di ogni giorno.

Primo atto: la purezza
Chi lo faceva, i contadini che coltivavano le viti, prendeva la bottiglia – un po’ opaca, velata dai lieviti – e la maneggiava con cura, senza agitarla. La versava in una caraffa di vetro, di quelle semplici da cucina, ben diverse dai decanter raffinati dei salotti. Lo faceva piano, travasando solo il vino limpido e lasciando il torbido sul fondo della bottiglia, come una scelta naturale. Un inchino alla semplicità.

Secondo atto: la ribellione
Poi il tempo ha rimescolato le carte. I “cultori”, nuovi cantori del “col fondo”, hanno abbracciato il torbido. Scuotono la bottiglia con un gesto misurato, come a risvegliare un’antica forza, e versano il vino in calici larghi. Qui i lieviti si muovono, vivi, e sprigionano profumi di crosta di pane, fiori di campo, terra dopo la pioggia. È un’esplosione rustica, un sorso che sa di temporale. Un canto alla natura che non si piega.

Terzo atto: la libertà
E poi c’è chi non sceglie né l’uno né l’altro, ma improvvisa. Stappa e versa, senza regole, senza attese. Ogni bicchiere è un azzardo: il primo, fresco e vivace come un soffio di vento; l’ultimo, denso e indomabile come un ricordo che non svanisce. Un brindisi alla vita che sorprende.

Tre modi di bere il “col fondo”, tre modi di stare al mondo. Una commedia in tre atti, rustica e schietta, dove il vino è il narratore e la tavola il palcoscenico. Perché il “col fondo” non è solo vino: è un racconto, un’eco di giorni lontani, un respiro di una terra che tiene strette le sue radici.

 

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Col Fondo: il vino veneto che vive sui lieviti

Nel Veneto, tra le colline dove la Glera regna sovrana, c’è un vino che non si piega alla limpidezza degli spumanti moderni: il “Col Fondo”. È un vino frizzante sui lieviti (noto anche come sur lie o pet nat), non filtrato, con quel sedimento che lo rende unico e schietto. Una tradizione di cantina, semplice e diretta, che trasforma l’uva in un frizzante vivo, da bere limpido o torbido, a seconda dell’umore.

Una storia veneta, un vino senza filtri
Il “Col Fondo” nasce da un’usanza antica: i contadini veneti imbottigliavano il vino ancora in fermento, lasciandolo evolvere con i suoi lieviti naturali. Quasi tutti i “Col Fondo” non filtrati sono sigillati con il tappo a corona, pratico e fedele alla tradizione. La Glera è quasi sempre la protagonista, ma non è raro che gli enologi mescolino altri vitigni autoctoni – Verdiso, Boschera o Perera, per esempio – per dare al vino una firma personale, un tocco di carattere che racconti la loro visione.
Niente filtrazioni, niente artifici: il vino finisce in bottiglia con il suo “fondo” di lieviti, che può riposare sul fondo o danzare nel bicchiere se lo agiti. È un frizzante che cambia, che si evolve, e che porta con sé i profumi di crosta di pane, mela e una freschezza minerale tipica di queste colline.

Col Fondo e Metodo Classico: cosa cambia?
A prima vista, potrebbe ricordare il Metodo Classico – quello di Champagne o Franciacorta – perché anche qui la magia avviene con una seconda fermentazione in bottiglia. Ma le somiglianze finiscono presto. Nel Metodo Classico, i lieviti fanno il loro lavoro e poi vengono rimossi con la sboccatura: il vino esce limpido, elegante, con bollicine fini e definite. È un processo preciso, quasi chirurgico.
Il “Col Fondo”, invece, tiene i lieviti con sé. Niente sboccatura: il sedimento resta, dando al vino una texture più morbida e bollicine meno aggressive. Se il Metodo Classico è un vino rifinito, il “Col Fondo” è più ruvido, diretto, con un sapore che sa di terra e di lievito vivo. È meno prevedibile, e forse per questo più intrigante.

Il fascino veneto del “fondo”
In un mondo di spumanti perfetti, il “Col Fondo” è un’eccezione che piace. Non è solo una questione di gusto – secco, vivace, con quel finale salato che richiama il vento delle colline venete – ma di identità. Qui, dove la tradizione si intreccia con la creatività degli enologi, ogni bottiglia è un piccolo atto di resistenza alla standardizzazione. Che sia 100% Glera o impreziosito da vitigni locali, che abbia il tappo a corona o, come nella zona del Prosecco DOCG di Conegliano e Valdobbiadene, il tappo a fungo con gabbietta e la fascetta del Consorzio, il “Col Fondo” resta un vino per chi cerca qualcosa di vero, un sorso che parla di terra, tempo e mani sapienti.